Al di là del Bene e del Male

Una storia sbagliata, e L’estate muore giovane, massacrata dalla banalità del Male. Tre ragazzini, non sai se eroi, vittime o mucchio selvaggio. Scrive Mirko Sabatino, quarantenne nato a Foggia e ora pendolare fra Roma e Nardò: «Un’azione, per quanto specifica ed estrema, non basta a collocare un individuo nelle categorie del Bene o del Male. Non lo definisce nel suo insieme, e non gli impedisce di compiere un’azione di segno contrario in un’altra situazione o momento dell’esistenza».

Mirko Sabatino ha scritto un romanzo d’esordio d’intensità bruciante, come quel sole del Gargano che, insieme all’evocativa città di Troia del Subappennino dauno, anch’essa luogo di ambientazione del romanzo, dà alla vicenda risonanze mitiche.

Tutto comincia con un’alleanza o patto di sangue, una specie di affiliazione. Estate del ’63, nell’aria c’è il primo disco dei Beatles e il sogno di Martin Luther King. Primo, voce narrante, orfano di padre, Damiano Danza, il leader, e Mimmo Lepore, futuro seminarista, sono sempre insieme a riempire il nulla di giornate afose ciondolando fra i vicoli del paese e la scogliera, loro rifugio segreto. Accade quindi che Mimmo subisca la violenza di un gruppo di teppistelli, i tre amici allora decidono di vendicarsi. Lo fanno e poi, eccitati dal successo, s’impegnano solennemente a intervenire sempre l’uno a sostegno dell’altro. Con un rituale che sembra un gioco o una fantasia innocente, «…e che queste lame siano come i denti di una tigre sulle spighe, ma come quelli di un infante sulla mano dell’uomo…». E invece no. L’estate muore giovane non è la via Pal. In agguato c’è Stephen King, uno dei maestri cui in epigrafe è dedicato il romanzo (insieme a Salinger, Hemingway, John Fante e Sandro Veronesi).

L’estate muore giovane è un crescendo d’orrore con punte splatter, un violento addio all’innocenza sull’ambiguo crinale fra responsabilità ed epica: da una parte la necessità di agire, dall’altra quel bisogno, sempre più morboso, di costruirsi una leggenda. A futura memoria. Sfidando i propri limiti nello scontro con l’altro. L’assenza dei padri confonde l’orizzonte. Le colpe degli adulti lo offuscano. Tre ragazzini soli nella tempesta di scelte più grandi di loro. Le controversie adolescenziali s’ingarbugliano con rancori e cupidigie degli adulti. Tutto può succedere, anche il peggio. E, in effetti, accade proprio quello. Ovviamente non diremo cosa.

Diciamo invece che L’estate muore giovane è romanzo ricco di raffinate citazioni. Alcune esplicite, altre fra le righe. Forte valenza letteraria ha, per esempio, la mamma di Damiano, con le sue inquietudini flaubertiane. Stessa ambiguità e suggestione di un cavallo di Troia ha la mastodontica mietitrebbia, «rossa e maestosa», orgoglio tecnologico della fattoria dei Danza.

L’estate muore giovane ha ritmo serrato d’azione, soprattutto nell’ultima parte, ma è innervato da una forte tensione morale che dà profondità alla storia, come la riflessione dostoevskiana d’apertura del babbo matto di Mimmo. O questa, bilancio definitivo di Primo quando dopo anni racconta l’epifania del Male ai suoi occhi di ragazzino ancora innocente: «Era la prima volta che lo vedevo così da vicino, e all’improvviso mi sorpresi a pensare a quanto fosse vero. Era una qualità trasversale a oggetti, animali e persone, che abbatteva i confini tra le categorie, vanificava nomi e classificazioni, gerarchie».

Al di là del Bene e del Male, c’è la verità della vita. Con il suo intangibile mistero.

Michele Trecca

(La Gazzetta del Mezzogiorno, domenica 14 gennaio 2018)

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